LITTLE STEVEN: Viaggio eccitante nella storia del rock. Recensione concerto live Milano

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LITTLE STEVEN
& THE DISCIPLES OF SOUL
Soul Fire Tour 2017
05 Dicembre 2017
Alcatraz
Milano

Voto: 9
Di Luca Trambusti

Il suo nome è immediatamente associato a quello di Bruce Springsteen a cui è legato da profonda e lunga amicizia ed un importante sodalizio artistico. Ma Little Steven (Steven Lento all’anagrafe a tradire le sue origini italiane – tra la Calabria e Napoli) ha anche una sua carriera solista, non certo prolifica ma reale e concreta (fatta di sette dischi). E’ anche autore conto terzi, produttore e noto volto televisivo (nella serie Soprano e Lilyhammer).

Nel corso di questo 2017 Little è tornato con “Soulfire” un disco a suo nome in compagnia dei The Disciples Of Soul. E’ un gran bel disco in cui il chitarrista americano mette in campo e sue passioni musicali mischiando soul e rock (dichiarandolo apertamente sin dal titolo). Con la fedele band ha preso armi e bagagli ed approfittando dello stop degli impegni della E Street Band è tornato dopo 25 anni, a girare l’Europa (e gli States) per presentare la sua musica.

Little Steven scaletta

In Italia era già passato la scorsa estate con un concerto a Pistoia nell’ambito del Pistoia Blues Festival a cui è seguito l’annuncio di altre 3 date in Italia. Di queste purtroppo solo una ha avuto luogo per sopraggiunti impegni televisivi di Little Steven (o Steve “Miami” Van Zandt). Le annunciate date di Roma e Padova verranno recuperate nel corso dell’estate 2018.

C’era (alla luce anche del buon disco realizzato) molta attesa per questo concerto che in effetti non ha tradito le aspettative. Pochi brani (si inizia con una cover di Tom Petty) e Steve si ferma per parlare e spiegare al pubblico, lo farà altre volte nel corso del concerto. Dice che negli anni ’80 si parlava molto di politica, i suoi testi erano politicizzati ma che questo ora non c’è più e che “siamo qui per fare un viaggio nella musica delle mie radici e di quelle del rock’n’roll” e via che parte con un bluesaccio stile Chicago (Etta James).

Colpisce subito la potenza e completezza sonora dello spettacolo. Dietro di lui c’è infatti una band di 14 elementi (dunque in 15 sul palco) composta da un altro chitarrista, basso, batteria, percussioni, organo, piano, tre supersexy coriste e una sezione fiati di 5 elementi. Una large band in tutti i sensi sia come numero che come qualità: macinano musica con una tecnica incredibile, ora in maniera compatta ora lanciandosi in performance personali di grande livello. Il ruolo di chitarra solista il più delle volte se lo prende Steven. I brani rispetto alle versioni in studio si dilatano, dando spesso modo a tutti i musicisti di sfogare e mostrare le loro abilità ma non è un mero esercizio di stile. Il concetto però è quello di “una band sul palco” non di un “uomo solo al comando” (ricorda qualcuno?)

E’ un vero viaggio musicale quello che mette in scena il musicista americano, non mente quando dice che ci sono le radici del rock’n’roll, c’è sopratutto l’anima nera della musica e lo dice anche in un intermezzo parlato ricordando l’esistenza in passato delle radio per bianchi e quelle per neri fino a quando qualcuno non ha superato questi steccati e lo stesso ha invitato a fare Steven: abbattere barriere e pregiudizi per armonizzare la società. E lui con la sua musica lo ha fatto e lo fa, mischiando bianco e nero e tributando onori e ricordi a molti personaggi del rock e non solo. C’è infatti il soul, con l’omaggio ai suoi eroi – Jackson Brown, Curtis Mayfield, Isaac Hayes – c’è il già citato Tom Petty, c’è il Morricone che scrive per Leone, c’è il folk, la tradizione con la fisarmonica ed il mandolino ma si arriva anche ai Ramones (per augurarci buon Natale). C’è sopratutto tanto, tanto ritmo al punto che è impossibile per tutte le 2 ore e mezza del concerto stare fermi, non seguire ballando e anche solo scuotendo la testa il flusso musicale che arriva dal palco.

A dispetto di uno stile che affonda negli anni ’70 è un concerto divertente, fresco, veloce, ma il rock ha anche questa valenza e nell’esprimerla Little Steven è un maestro. Senza gigioneggiare, senza estremismi o spettacolari colpi di scena presenta un concerto asciutto ma significativo, che va all’essenza della musica, che la mette al centro di tutto. E la musica è quella di qualità, quella che ha fatto la storia: in una sola parola Rock (volutamente con la “r” maiuscola).

Non c’è pausa, non c’è sosta, non c’è un momento di cedimento. L’unico stop che si prende è quando “racconta” e chiacchiera con il pubblico, ma sono parole “funzionali” al concerto, parte integrante dello stesso. Sono parole di buon senso e di peso ma prive di retorica ed anzi marcate da un certo senso dell’umorismo.

Sicuramente su tutto lo spettacolo, non può essere altrimenti, aleggia lo spirito di Bruce. Nessuno lo invoca ovviamente ed è giusto così. È un concerto di Little Steven non del chitarrista del Boss. Springsteen è presente perché si capisce da dove arrivano certe scelte musicali, che sono evidentemente condivise tra i due. Springsteen è tangenziale, contiguo a questo concerto; quello del Boss comincia laddove finisce quello di Little Steven. In sostanza una parte del percorso è fatto insieme.

Grande concerto che trova i suoi momenti migliori in “Standing In The Line Of Fire”, “Salvation” e “Down And Out In New York City”. Spettacolo nello spettacolo le tre coriste…….con le loro coreografie e balli ma anche e sopratutto con le loro voci

Un consiglio: visto che torna nell’estate 2018 prendetene nota e non mancate. Ve ne pentireste..


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