GIULIO CASALE: la terapia del palco in attesa degli Estra. Intervista
GIULIO CASALE Intervista
Tra musica, teatro e scrittura un uomo che deve stare sul palco
In arrivo anche una reunion degli Estra
intervista di Luca Trambusti
LEGGI QUI LA RECENSIONE DEL CONCERTO
GIULIO CASALE Intervista
Il nuovo singolo (il primo dal 2012) di Giulio Casale dal titolo “resto io” (volutamente minuscolo) esce lo stesso giorno in cui il musicista trevigiano sale sul palco di Milano per un concerto.
Ad accompagnare la canzone un video in b&n girato a Milano (città d’adozione di Giulio). Abbiamo parlato con Casale nel camerino del Serraglio di Milano mentre, sorseggiando un buon bicchiere di rosso, aspettava di salire sul palco in compagnia dei Norman, la band che lo accompagna in questi concerti.
Come al solito gli incontri con Giulio non sono mai banali. E’ un uomo profondo, attento alla realtà che lo circonda e con cui a volte fa fatica a relazionarsi (e come dargli torto?!?!?). Ma il suo approccio non è mai drammatico quanto piuttosto generatore di meccanismi di difesa che passano anche attraverso le sue Canzoni, peraltro sempre molto significative (e questo “resto io” non è da meno).
GIULIO CASALE Intervista
Come arriva questo nuovo singolo?
Ho la fortuna di avere tantissimo materiale realizzato con lo stesso furore che avevo quando scrivevo “L’Uomo Coi Tagli” (brano simbolo degli Estra ndr) ma sopratutto con una grande concretezza e velocità di scrittura. L’idea è di far uscire un pezzo al mese e poi di raccogliere tutto in un successivo CD. Ogni brano avrà una vitta propria ed una sua rispettabilità, con un video clip. L’idea è quella di dare dignità alla Canzone. E’ da tempo che penso che la Canzone sia priva di importanza, ridotta a niente.
Questo nuovo e primo singolo lo presenti dal vivo. Sarà così anche per i prossimi?
No. Non ho scadenze così fisse. Farò un vero live quando ci sarà l’intero disco. Per ora ci saranno solo delle possibili coincidenze.
Nello specifico cosa hai da dire con “resto io”?
Sono convinto che sarà la canzone che aprirà il disco. Siamo bombardati da mille informazioni, giudizi, opinioni idee che si smentiscono nel giro di pochi minuti. E’ l’esigenza di ritrovarsi, farsi immuni alla deficienza, dicendo: “io sono io”, tutto in minuscolo perchè piccolissimo ma non sono a disposizione di tutto questo che mi circonda. E’ l’esigenza di proteggersi.
Troveremo queste tematiche anche in altri brani? Sarà una sorta di concept?
No, ci sarà un bel ventaglio di argomenti. Se vuoi il concept sarà quello di cercare di essere interprete del tempo e dello smarrimento, condividendo questi pensieri con chi è così, come me.
La canzone inizia con delle frasi in francese. Come mai?
E’ una poesia di Houellebecq che dice ci vorrebbe un vento forte, inesorabile come soluzione dei mali moderni. Adoro la metafora del vento…. e’ molto rock.
Dal vivo come diventa questa canzone?
In queste occasioni cercheremo di farla il più simile possibile all’originale ma sicuramente ci saranno anche occasioni in cui verrà suonata in acustico, esattamente come l’ho scritta. Quando c’è la band ci sarà un po’ più di energia, un po’ noise, sopratutto sul finale ma questa è l’attitudine dei Norman che mi accompagnano. Nonostante tutto hanno molta attenzione alle canzoni ma appena c’è la possibilità si prederanno i loro spazi musicali
Quale sarà la struttura/scaletta di questi concerti?
Ci sarà il nuovo singolo, poi canzoni del mio repertorio, alcuni brani dei Norman ed un paio di ospiti: Paola Colombo e Alessandro Grazian. Si aggiungeranno alcune importanti citazioni degli Estra, più cover di Bowie (“Life From Mars” ndr) e una di Battisti/anella ed un brano dei Norman dedicato a Gino Rossi, uno che per molti anni è stato rinchiuso in manicomio.
E’ da un po’ che manchi dai live a nome tuo mentre hai fatto parecchie altre cose in teatro, sopratutto con Andrea Scanzi. La nuova canzone è una scusa per tornare o avevi voglia a prescindere?
E’ che dopo tanti anni di teatro arrivi ad un punto in cui vuoi dimostrare di essere anche un autore. E’ un’esigenza. E’ la voglia di avere qualcosa di proprio da dire. Solo che ogni volta è un ricominciare ma è tuttavia piacevole ritrovare la medesima tensione.
Ti sta stretta la parte teatrale?
Si e no! Mi piace fare teatro, il massimo sarebbe essere anche autore di ciò che fai e non solo interprete. Questa è la grande completezza: sei cantante, attore, autore e magari anche, esagero, regista. Fare le cose altrui per quanto io tenda a”personalizzarle”, a renderle mie non mi basta.
Ora mi sento in grado ed ho voglia di fare questo “mestiere” pur con le sue difficoltà.
A proposito; è possibile far diventare lo stare sul palco da un “mestiere” a un lavoro?
E’ difficilissimo. Sappiamo che i dischi non si vendono, che i concerti vanno svenduti perché è difficilissimo, impossibile girare in sei come facciamo noi. Non c’è un corrispettivo. Sembra una scommessa persa. Ma perché non farla?!?!?
Tu suoni sia da solo che con la band. Come ti trovi nelle due condizioni?
Semplicemente io sono un solitario che cerca compagnia. Così ho fatto sin dagli Estra. Ero un cantautore con la band ed ho sempre giurato di non andare da solo. Poi certo, gli sbagli ti portano a fare scelte diverse come lo fanno le esigenze e le necessità. Se non c’è cachet sono obbligato ad uscire da solo. E poi all’inizio il progetto “Sullo Zero” (un reading di poesie con canzoni in acustico diventato poi anche un disco ndr) era eccitante; mi piaceva stare da solo sul palco in una dimensione teatrale e con la chitarra acustica in mano (non lo avevo mai fatto prima perché ho sempre usato l’elettrica). Dopo tanti anni però la cosa è diventata claustrofobica, ti manca un po’ di musica, un po’ di sostanza, un basso ed una batteria.
La mia anima comunque è quella della band ed io non voglio più essere solo ma fare un lavoro collettivo.
Tempo fa c’era stato un tour di ritorno degli Estra che poi non ha sortito altro. Ora c’è qualcosa i ballo con loro?
Sì, il 24 giugno saremo ospiti dell’Home Festival a Treviso, in un’ora faremo un sunto della nostra carriera. Quest’anno sono 20 anni di “Alterazioni” (in realtà 21 ndr) e da più parti ci è stato chiesto di pensare a qualcosa per il ventennale di “Nord Est Cowboy” (1999). Ora va molto di moda e quindi mi verrebbe voglia di dire di no. In realtà stiamo riflettendo molto seriamente su questa possibilità. Vedremo.
Dunque gli Estra sono ancora vivi?
Sai, se sopravvivi a certi meccanismi alla fine qualcuno ti riconosce qualcosa. Nonostante la mancanza di lavoro come artista e le difficoltà tu resisti, sei ancora lì ed offri, nelle diverse forme, te stesso al pubblico ed a chi ha voglia di ascoltarti. La durata diventa la forma delle cose, non è solo sopravvivenza ma esigenza espressiva.
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Dal pubblico in questo giro di concerti ti aspetti questo tipo di risposta? Questo riconoscimento ed affetto?
Devo dire che molto del pubblico degli Estra non mi ha mai seguito a teatro, considerandomi un traditore del rock’n’roll. Ogni volta per me è stato un ricominciare, un acquisire e coinvolgere pubblico differente. Ora però mi sto accorgendo che il pubblico degli Estra sta tornando a vedermi dal vivo. Il fatto di aver fatto cose differenti, il rock, la canzone d’autore, il teatro ed anche i libri, non mi ha dato una somma di pubblico, anzi, si ragiona molto a compartimenti stagni.
Cosa significa stare sul palco per te?
(segue un lungo silenzio ndr) Penso di non aver mai avuto una scelta diversa. Nel ’91 all’inizio della mia carriera ho sentito che non avevo modo di trovare un altro posto in questa società. Non avevo possibilità di impiegarmi o di arruolarmi in nessun esercito perché per tutta la mia vita mi è sempre stato detto che ero strano, che ero sbagliato. Questa è la mia ferita originaria ed alla fine mi consideravo uno che non andava bene. Nel ’91 è stata la mia seconda nascita quando ho capito, anzimi sono visto lì, su un palco. Strano per strano, fottuto per fottuto lì avevo un senso e potevo avere e fare il mio urlo liberatorio. Tutto è nato così ed ancora oggi è così.
Anche quando facevo il teatro canzone più bene educato del mondo in me c’era la stessa tensione, quella di un urlo ricacciato dentro. E’ il fatto che non c’è posto per me nel mondo ed andare sul palco è una spinta inesauribile, una auto psico terapia. Non potrei fare altro che andare sul palco.
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