CLAUDIO TROTTA: con la sua Barley Arts protagonista del mondo live. Intervista Pt. 1

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CLAUDIO TROTTA intervista 1
IL SUO SGUARDO SUL MONDO DEL LIVE
Intervista di Luca Trambusti

LEGGI SECONDA PARTE DELL’INTERVISTA

CLAUDIO TROTTA intervista 1

Il numero di concerti organizzati da Barley Arts in 38 anni di attività è impressionante. Stanno in due corposi volumi la cosiddetta “Bibbia” l’archivio storico dei tour e dei singoli concerti (di cui esiste anche una versione digitale).

Penso circa di aver lavorato a 10/15000 eventi grandi e piccoli tra musica italiana ed internazionale – dice Claudio Trotta fondatore e proprietario della struttura – A differenza di quello che pensano in molti ho organizzato tantissimi concerti di artisti italiani. Lunghissimi tour di Litfiba, Elio e Storie Tese, Denovo, Pitura Freska, Gang. E poi sette anni con Renato Zero, più di cinque con Ligabue insieme a Salzano, cinque anni con i Negramaro, i primi tre anni di Tiziano Ferro, le Vibrazioni. Sono anche il primo – continua orgoglioso – che ha portato Vasco Rossi ed Eros Ramazzotti all’estero.

Insomma Claudio Trotta ha i numeri per ragionare sul mondo del live. Il suo sguardo è sempre attento, la sua esperienza è tanta e la sua paura a denunciare e dire le cose è pari a zero. Quindi un’analisi fatta da Claudio è attenta e reale.

Lo abbiamo incontrato per una lunga chiacchierata sulla situazione del live in Italia, le sue criticità e cosa significa fare questo lavoro adesso e qui.

Mancano alcuni argomenti. Non abbiamo affrontato il problema del costo dei biglietti. Sarà magari un’occasione per rincontrare Claudio.

Intanto ecco la prima parte di ciò che ci ha raccontato.

CLAUDIO TROTTA intervista 1
C’è vita, qualità e business nel mondo del live in Italia?

Penso che L’Italia per il live della musica popolare contemporanea sia uno dei paesi con la maggior qualità di professionalità, varietà e vivacità degli indipendenti e con molte iniziative legate fra l’altro alla presenza di tantissimi circoli e associazioni culturali.

E’ però un paese dove Live Nation sta facendo danni con una politica aggressiva omologante ed al limite della legalità e delle concorrenza sleale che non rispetta il territorio, i suoi produttori e promoter locali ed indipendenti.

E’ un paese dove non c’è non c’ una legge sulla musica popolare contemporanea e tanto meno almeno una struttura per la “nostra” musica costruita con denaro pubblico. Nonostante questo gli operatori sono creativi e s’inventano spazi o ne riattano altri.

E’ un paese dove il pubblico è tuttavia spesso troppo modaiolo, superficiale o molto fanatico, non c’è una via di mezzo, una categoria media di ascoltatore, che ama la musica senza distinzioni e condizionamenti ma a 360 gradi.

In Italia una ventina di artisti vendono molti biglietti tanti altri faticano.

Un paese dove la musica italiana è in grave crisi dal punto di vista artistico da almeno un paio di decenni anche se ora sembra che le scene di Roma e Bologna stiano facendo nascere qualcosa pur nella loro limitatezza. Sembrano nascere dei futuri artisti anche senza un forte supporto mediatico e “industriale”.

Alla luce di tutto questo quanto è facile o difficile organizzare concerti in Italia?

Il problema non è questo. Il problema è per quanto tempo sarà ancora possibile organizzare con il gravame delle multinazionali che fanno network in tutto il mondo e che controllano la filiera dall’artista ai siti di secondary ticketing passando per il merchandising. Finché sarà permesso questo vedo molto più complicato sostenersi per chi non si adegua o lavora per loro. Per il resto è una professione come gli altri, la puoi fare bene o male ed io non appartengo ai lamentosi che trovano sempre scuse per dire che tutto va male.

Barley Arts CLAUDIO TROTTA intervista Pt 1
CLAUDIO TROTTA intervista 1
Che differenza c’è tra l’organizzare un grande concerto come può essere quello di Springsteen a San Siro rispetto ad una tournée in club più piccoli con artisti giovani o di minor successo italiani e stranieri? Come si lavora su questi due fronti: grande e piccolo?

Innanzitutto si lavora con dei collaboratori ed uno staff che viene alimentato nelle proprie personalità e messo in condizioni di fare e non semplicemente di eseguire, creando così una mentalità manageriale aperta ed una grande professionalità. Ciò detto la poliedricità di Barley deriva da un mio costante e quotidiano pensiero di sviluppo di progetti. In questo momento sto lavorando a 5 progetti nuovi e non tutti legati alla musica nella accezione più classica. L’azienda nasce per l’organizzazione di concerti ma nel tempo ci siamo allargati anche ad altre tipologie organizzative: family shows, musical, mostre e street food.

Nell’immaginario collettivo fare Bruce Springsteen a San Siro pare più difficile che sette date in un club di un artista medio ma paradossalmente non è così ma l’esatto contrario. Un concerto in uno stadio di Springsteen gode di risorse economiche di una certa natura che consentono una struttura operativa e possibilità organizzative di una certa natura. E’ complesso, certo ma ci sono modi operativi che ti permettono di lavorare con serenità. Quando invece devi organizzare un tour di un artista che non vende biglietti e devi farlo lavorare cercando di costruirgli una carriera e contemporaneamente non perdere soldi e non farli perdere a chi come te investe, è veramente difficile

Come avviene la scelta degli artisti con cui lavorare? Quanto conta il fattore artistico, il proprio gusto e quanto il business?

Essendo la mia una società privata che si autoalimenta economicamente è evidente che si cerchi di fare le cose sostenibili. Io tuttavia non penso mai come prima cosa al guadagno, penso a ciò che voglio fare e poi a come rendere tutto sostenibile. Che è una cosa diversa. Le modalità sono differenti.

Con tutti i rapporti con manager, agenti ed artisti che abbiamo costruito nel tempo, spesso ci vengono proposte delle cose. Dall’altra parte le persone che lavorano con me per le acquisizioni ed il booking (Daniele Parascandalo per la musica italiana, Marco Ercolani per la musica italiana ed internazionale insieme a Riccardo Canato) abbiamo tutti una curiosità innata e cerchiamo “cose” nuove sempre. In questi giorni per esempio ho suggerito a Marco di prendere i Pretenders, il disco non mi sembra male, mancano da un po’ ed ora ci stiamo lavorando. Abbiamo fatto conoscere molti artisti tipo i Postmodern Jukeboox  o Mika. Alla base c’è comunque la mia fame di musica e la mia costante ricerca con un interesse a 360 gradi.

Non c’è una regola fissa, è ovvio però che debba esserci una sostenibilità…. che tuttavia è sempre un’ipotesi, una sfida. La sostenibilità (anche nei casi in cui il rischio maggiore è a carico dei promoter locali) si basa su una presunzione che non ha riscontri statistici o dati certi. E’ chiaro che non puoi riferirti al numero di copie vendute dei dischi o al dato che deriva dai social che non ti garantisce nulla. Tanti click non corrispondono ad altrettanto pubblico ai concerti. E’ una sensibilità personale e questo è ancora il bello del lavoro. E’ irrazionale pensare di avere certezze sui numeri. E questo mi affascina.

Quante e quali sono state le sorprese in un senso o nell’altro?

Tante. Nel ’96 c’è stata una sorpresa contestuale. Nell’aprile avevo contemporaneamente in tour gli AH AH ed i Supertramp. I primi erano lanciatissimi, al top ed eravamo in 9 promoter nazionale ad esserceli contesi. I secondi invece erano in apparente calo, non li voleva nessuno. Organizzai 9 date degli Ah Ah che furono un fiasco e 6 dei Supertramp che furono un trionfo.

Cosa ne pensa del fatto che molti giovani artisti producano tantissimi dischi (forse troppi) ma poi sbattano contro le difficoltà di suonare live nei club o nei piccoli locali?

Le problematiche sono parecchie. Da una parte c’è un fattore tecnico. In molti locali (non tutti) dove si suona dal vivo l’aspetto tecnico non è curato a dovere con un trattamento verso la musica ed il pubblico non adeguato.

Poi c’è un problema burocratico, con una serie di adempimenti di legge che aumentano notevolmente i costi.

Inoltre c’è un problema artistico. A mio avviso la migliore musica italiana degli ultimi anni è di derivazione World Music o jazz, non certo rock (se si escludono alcune realtà). La scena Indie è stata deludente ed i cantautori si copiano uno con l’altro. Il pop poi è spesso imbarazzante. Troppi dischi inutili, senza sostanza e senza furore. Altro danno lo hanno fatto i talent shows che tuttavia spesso sono l’unica possibilità di visibilità.

Poi c’è il fatto che molti gestori di locali più o meno piccoli, preferiscono ospitare le cover band e quando vuoi suonare ti chiedono quanti familiari amici e persone porti. Fatto tuttavia che è anche figlio, per la mia opinione, della mediocrità della proposta musicale. E’ altresì vero che se apri un locale dal punto di vista economico puoi fare molte cose che sono più redditizie della musica dal vivo.

Non è anche un problema del pubblico che sembra aver perso la curiosità e la voglia di scoprire cose nuove?

E’ un cane che si morde la coda. La curiosità del pubblico italiano non è mai stata brillante rispetto a quella di molti paesi europei dove c’è la mentalità di passare una serata ascoltando musica e non necessariamente del tuo artista di riferimento.

E’ lo stesso problema per cui i festival in Italia non hanno preso piede e mai lo potranno fare finché non cambierà una certa mentalità tutta nostrana. All’estero il festival è vissuto come qualcosa che va al di là del concerto del proprio beniamino, Si va per stare al festival, per godere di una situazione, stare con gli amici e per sentire tanta musica diversa….. Non è un problema se c’è il fango o se il sole picchia forte….

Com’è un concerto perfetto?

E’ quando chi se ne va a casa dopo lo spettacolo lo fa con il sorriso stampato in faccia non solo per le sensazioni che ti ha dato la musica ma anche per come si è svolta tutta l’esperienza; ovvero dalla facilità con cui si è comprato il biglietto al giusto prezzo, alla facilità con cui si è arrivati, a quella di come si è parcheggiato, come si è mangiato e bevuto all’interno della location ad un prezzo onesto. Faccio una parentesi su questo fatto del prezzo dell’acqua, che è una delle più schifose speculazioni che si fanno ai concerti ed alle partite. Io quando posso impongo un prezzo onesto e se io vendo acqua direttamente il prezzo è assolutamente equo.

Tornando ai concerti anche l’accoglienza serena e rispettosa contribuisce a rendere perfetto un concerto. Anche l’inquinamento luminoso delle location è uno dei danni che subisce il live e che si è accentuato con l’uso dei telefonini.

Questo è un concerto perfetto, non quello in cui hai venduto necessariamente tutti i biglietti…. certo se succede è meglio!!!! Ma non è l’unico obbiettivo finale.

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