KING CRIMSON: tre batterie nello show di testa e tecnica. Recensione live Milano

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KING CRIMSON
The Elements ok King Crimson Tour
6 Novembre 2016
Teatro Degli Arcimboldi
Milano

Voto: 6,5
di Luca Trambusti

Come da qualche tempo anche per le date italiane (in totale 8) i King Crimson si presentano con tre batterie ed una formazione totale a 7 elementi. Sul palco insieme allo storico leader Rober Fripp, ci sono il sassofonista Mel Collins (già in formazione nei primi album), il fidato Tony Levin al basso, Jakko Jakszyk alla chitarra ed appunto i tre batteristi Gavin Harrison, Jeremy Stacey e Pat Mastelotto (quest’ultimo da tempo in formazione).

Già visivamente si capisce quale sarà il ruolo delle tre “macchine da guerra” del ritmo: il fronte palco dove sono piazzate da loro una grande rilevanza. Ed il concerto parte con un lungo quanto imprevedibile (nelle scalette standard) assolo di batteria. Da subito quindi si ha la netta percezione di quale sarà la piega della serata. In genere gli assoli, in particolar modo quelli di batteria, regalano allo stesso tempo energia e “distanza” o meglio sono molto spesso (e questo è il caso) sfoggio di virtuosismo e solitamente sono per questo limitati nel tempo e nelle ripetizioni..

Quando poi entra il resto della band l’atmosfera cambia ma il ruolo delle tra batterie (che a seconda dei momenti, si sovrappongono o ognuna segue il suo disegno) resta centrale. E questo sarà il problema di tutto il concerto. La potenza (anche sonora) della sezione percussiva schiaccia il resto della band, la pone in secondo piano o quanto meno non c’è una perfetta amalgama tra le due parti. Paradossalmente gli assoli di Fripp (sempre grande per le sue scelte sonore) sono quasi “nascosti” dai tre che si dannano dietro i tamburi.

L’apoteosi la si raggiunge nel bis quando “21st Century Schizoid Man” viene “interrotta” da un lunghissimo assolo di batteria, ineccepibile dal punto di vista formale e tecnico ma assolutamente inutile dal punto di vista funzionale e che arrivava dopo molti altri assoli nel corso delle ormai quasi 3 ore di concerto (in realtà in questa occasione qualche fischio dalla platea è arrivato).

La sostanza del problema la si capisce pienamente in quei pochi episodi (e tutti nella seconda parte) in cui è impegnato uno solo dei tre batteristi. Tutto cambia, non c’è più quello schiacciamento, tutto è più equilibrato e la musica riesce anche a “bucare” arrivando nella sua architettura sonora più “vuota”.

Questo effetto “schiacciamento” sembra colpire anche il pubblico del teatro (due sold out con una capienza di circa 2300 spettatori a sera) che fatica anche solo a tenere il ritmo con il piede ed a lasciarsi andare . E’ un concerto di “testa” dove la tecnica e la precisione sono elementi essenziali. Alla fine ci si dimentica un po’ della passione e dell’aspetto “ludico” e comunicativo del concerto.

Tutto è essenziale, dall’impianto scenico scarno, con le luci fisse blu sul fondo e bianche sui musicisti (solo sul finale diventano rosse), alla posizione e postura dei componenti della band. Sax, basso, chitarre/voce e Robert Fripp sono fermi su una pedana alle spalle delle tre batterie. Fripp è seduto, quasi immobile con la sua chitarra a tracolla ed una tastiera di fronte. E’ un ribadire che l’elemento centrale, essenziale e caratterizzante è la musica nel suo complesso, tutto il resto può essere superfluo e non c’è un unico protagonista.

Per carità lo show alla fine è potente, bello e perfetto, fin troppo bello e perfetto, fin troppo lungo (alla fine sono 2 ore e 50 di concerto più un intervallo di 20 minuti) con alcuni episodi di grande impatto ed altre lunghe digressioni che avrebbero potuto essere asciugate per una maggior concretezza. I King Crimson fanno i King Crimson (e lo fanno bene) con la loro musica fatta di virtuosismi, di perfezione sonora. Alcune tracce sono dilatate nel tempo, pochissime parole e tanta musica. Grande varietà ritmica e d’atmosfera percorre l’intero concerto.

Sicuramente si va per “ascoltare” la musica (più che per “partecipare”) tant’è che la band più volte in attesa dell’inizio segnala al pubblico il divieto assoluto di fare foto e riprese così da portare il ricordo dello show solo nelle orecchie (alla fine quando lo fa Tony Levin si possono scattare delle foto). Va detto che il rispetto del divieto da parte del pubblico è totale (anche perché solerti steward ti “beccano” subito). Neanche sugli aerei succede.

La scaletta ripercorre molti anni della carriera della band ed è in questo senso entusiasmante. Anche il pubblico ci mette entusiasmo e passione tributando molti applausi e grandi standing ovation alla fine del primo e del secondo tempo. E con un trascinante ed interminabile applauso tutti in piedi sul finire dell’esibizione.

Sicuramente la scelta delle tre batterie è caratterizzante, coraggiosa e figlia delle grandi capacità tecniche dell’ensamble (oltre che di ogni singolo batterista) ma alla fine non premia moltissimo o per lo meno sposta troppo il baricentro della musica portandolo verso altri lidi in cui gli aspetti sonori e delle composizioni della band vengono nascosti, ridimensionati.

Si ripete a Firenze (l’8 ed il 9 al Teatro Verdi), a Roma (L’11 ed il 12 all’Auditorium conciliazione) ed a Torino (il 14 e 15 al Teatro Colosseo).


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