SCOTT BRADLEE’S POST MODERN JUKEBOX: Un live che è vera goduria. Recensione

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SCOTT BRADLEE’S POST MODERN JUKEBOX 2016
06 Aprile 2016

Alcatraz
Milano

Voto: 9
Di Luca Trambusti

SCOTT BRADLEE’S POST MODERN JUKEBOX 2016

Occasioni come quelle del concerto di Milano della Scott Bradlee’s Post Modern Jukebox o più semplicemente “PMJ” danno un bel segno di speranza nei confronti della musica. Questa large/big band (in 10 sul palco) non è certo nota al grande pubblico, non ha passaggi radiofonici, televisivi o altri grandi mezzi di comunicazione (tradizionali) a sua disposizione (almeno nel nostro paese) eppure sono diventati un fenomeno mondiale e stanno conquistando anche l’Europa con la loro musica, che se anche stilisticamente non è una novità piace e riesce a coagulare un buon pubblico (anche variegato). Evidentemente i loro canali promozionali non sono i tradizionali (qui la rete è la padrone) ed il che dimostra che la buona musica occorre sì andarla a cercarla ma evidentemente è disponibile, c’è necessità, spazio ed è anche parte di ciò che il pubblico cerca.

Procediamo però con ordine.

La storia

La band in questione nasce nel 2011 intorno al pianista americano Scott Bradlee il quale, dopo esperienze jazz ed una lunga serie di video per la rete, decide di formare questo ampio gruppo. La formula è quella di unire composizioni originali con riletture di successi dei grandi artisti del pop moderno, il tutto confezionato in chiave swing, jazz, blues, soul e r&B (old school). Il risultato è dirompente. Una musica concettualmente legata al passato diventa di colpo moderna, fresca e riacquista il fascino ed anche il significato primigeni. Il progetto cresce costantemente, esce dai confini americani (grazie anche ad un sapiente uso della rete e dei video) sino a sbarcare in Europa e, partendo dalle prime date londinesi, arrivare a questo tour 2016 di 63 date, che li terrà impegnati per due mesi e mezzo nel Vecchio Continente.
In mezzo ci sono oltre 230 milioni di visualizzazioni ai video e oltre 1 milione e mezzo di iscritti al canale Youtube degli Scott Bradlee’s Postmodern Jukebox.

Ma anche vedendoli dal vivo, oltre che dallo schermo di un computer/mobile, si capisce il motivo di tale successo.

Una famiglia allargata

La caratteristica dei PMJ è quella della “famiglia allargata”: intorno ad un solido nucleo di musicisti ruotano tanti altri protagonisti con le loro capacità. Non c’è dunque sempre la medesima sezione fiati ma all’occorrenza arrivano altri musicisti. Sopratutto non c’è un solo cantante ma tanti vocalist e performer (uomini o donne, sopratutto donne). Tutto questo dal vivo si traduce, come in questa occasione europea, in una band di 10 elementi sul palco: piano (ovviamente essendo il bandleader), contrabbasso, batteria e due fiati sono la base musicale su cui poi si innestano 3 strepitose cantanti (donne), un folle cantante musicista ed un “presentatore” di colore che poi si scopre essere un mostruoso (in senso tecnico) cantante. A questo già ampio parterre si aggiunge poi una ballerina di Tip Tap che molto spesso fa la sua comparsa sul palco (ed ingaggia una cruenta “battle” con il batterista in un crescendo ritmico divertente e travolgente).

Teatro, gag e danza

Quello che arriva dal palco è uno spettacolo pieno, a tutto tondo, in cui una grande musica si unisce ad altri elementi: teatro, gag e danza. Gli ingredienti sono sapientemente amalgamati e difficilmente si sovrappongono, nelle poche volte in cui questo succede il risultato è ugualmente ottimo. In sostanza anche in presenza di molti elementi diversi la musica resta la protagonista ed è musica di grande qualità, interpretata da strumentisti, performer e cantanti di indubbio valore i quali riescono a trasmettere, favoriti anche dallo stile scelto, divertimento, allegria e freschezza.

E’ impossibile, tra cover di brani pop e composizioni originali, restare fermi: la testa, il piede, il corpo intero sono trascinati a seguire il ritmo, più di una volta l’Alcatraz si è trasformato in un dancefloor molto coinvolto che si muoveva seguendo il campionario più ampio della musica ritmica nera.

Il pubblico sul palco

Ed il finale è, ovviamente, un’esplosione sonora e partecipativa con il pubblico chiamato sul palco a ballare con la band la quale invita a fare i selfie con loro sul palco di sfondo ed a mandarli alla band la quale poi li userà in modo non ancora definito. Ed infine come atto conclusivo della festa l’invito ad un mega scatto. Tutto il pubblico a braccia alzate con la band intenta a scattare foto dal palco.

Grandi doti tecniche

Una menzione particolare per i vocalist: tre ragazze incredibili (una, Cristina Gatti, di origini italiane anche se parla uno stentato italiano e la cui madre è salita sul palco a fine concerto) due bianche ed una di colore (Maiya Sykes) che, nelle loro differenze stilistiche, lasciano a bocca aperta per le loro doti. Maiya poi strappa lunghi e sentiti applausi per le vette sonore che riesce a raggiungere. Ancor più alti sono i toni del presentatore cantante LaVance Colley. Sono virtuosismi ma perfettamente legati al contesto e non fini a se stessi. E sopratutto sempre venati da un graffio ironico e divertito.

Un concerto che si vorrebbe non finisse mai

Quella dell’Alcatraz è stata l’unica data italiana della band, un vero successo. Pur nella sua configurazione ridotta il club milanese era pieno di appassionati con gente che cantava tutti le loro canzoni. Un trionfo per un concerto che si vorrebbe non finisse mai.

Se dovesse capitare un’altra occasione, ovunque nel mondo, non si può certo perderla.


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