GREGORY PORTER: L’inequivocabile eleganza Recensione live concerto Milano
GREGORY PORTER
Recensione live concerto Milano
07 maggio 2025
Teatro Nazionale
Milano
Recensione di Luca Trambusti
Voto: 👏👏👏
A due anni e mezzo di distanza dall’ultima volta, GREGORY PORTER torna in Italia e lo fa nuovamente in un teatro milanese.
Nel frattempo la popolarità e il successo del corpulento 53enne californiano (poi newyorkese) sono cresciute e ha conquistato un comodo posto nel mondo del jazz e nella sua bacheca fanno bella mostra due Grammy.
Sobrietà

Ad accoglierlo a Milano un teatro Nazionale a un pelo dal sold out, ma i numeri delle sedie piene poco importano perché quello che conta è il calore e la passione che galleria e platea hanno riservato al cantante,
Fin dal primo colpo d’occhio si capiva che la “sobrietà” era l’elemento chiave della serata. E in effetti così è stato.
Quando il sipario si apre sul palco appare già Gregory Porter, con l’immancabile copricapo, accompagnato dai suoi musicisti: un organista, un sassofonista, un batterista, un contrabbassista/bassista e pianista.
Fin dalle prime note della voce del protagonista della serata si viene “abbracciati” più che “urtati” o “colpiti”. è un approccio molto delicato, un messaggio di grande eleganza quello che arriva dalle note della band.
Nello svolgersi del concerto si resta sempre più affascinati dalle doti vocali di Porter, dalla sua estensione e soprattutto dalla dinamicità dell’aspetto interpretativo. Sa muoversi con estrema rapidità tra registri vocali diversi, non solo in termini di estensione tonali ma anche nell’abilità nei passaggi dai momenti più delicati, carezzevoli a quelli in cui richiede di più alla sua voce spingendo sul volume e sulla pressione sonora.
Un perfetto crooner
Porter è un perfetto crooner, capace di toccare i sentimenti, scavare nell’anima, di colorare le atmosfere e di muoversi tra di esse con estrema disinvoltura, accompagnando il pubblico in questo viaggio.
Chi è lì ad ascoltarlo sicuramente conosce il lavoro del musicista americano, ma un conto è sentirlo in un contesto discografico, dietro al quale c’è sempre uno studio di registrazione, un conto è goderlo dal vivo, senza (tanti) filtri e possibilità di sistemare gli errori. Porter è semplicemente perfetto, caldo e rassicurante, morbido e setoso, mai fuori luogo o fuori dagli schemi, forse un po’ prevedibile ma a volte è bello essere “accompagnati”.

L’unico neo a inizio concerto quando nei momenti in cui la band spingeva di più, in particolare il sax, la sua voce era coperta e spariva.
La voce e la band insieme
Alle doti vocali del protagonista si aggiungono poi quelle musicali della band (non certo semplici comprimari), che al suo pari lavora molto sulle dinamiche, su diversi timbri sonori. A guidare il suono ci sono il sax e l’organo e a puntualizzare il pianoforte, il tutto disteso su una base ritmica fornita dal contrabbasso (il basso è usato in poche occasioni) e una batteria “discreta”.
In perfetto stile jazz i diversi componenti del gruppo si prendono i loro spazi e la musica si dilata, sfiora l’improvvisazione. Porter resta sempre in scena anche quando non è protagonista e fornisce il suo supporto anche con il semplice battere delle mani, seduto su uno sgabello. Resta protagonista la band solo alla fine del concerto con il cantante che esce di scena ballando e al termine fine del bis quando è la band a chiudere il concerto (su un brano che è un invito all’inclusione).
Durante l’assolo di contrabbasso (quando restano sul palco solo il musicista e Porter) arrivano prima un frammento di “My Girl” dei Temptations (Smokey Robinson) e in chiusura del solo al rientro della band arriva “Papa Was a Rollin’ Stone”, sempre portata al successo dai Temptations.
Il concerto è perfetto
Tra momenti più “spinti” e altri di grande intensità (come piano e voce) il concerto è perfetto, sia in termini di qualità e resa sonora, sia come esecuzione e qualità vocale.
Eleganza, sobrietà, calore e bellezza. Si esce con l’animo sereno.
https://www.facebook.com/gregoryportermusic
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