RICCARDO COCCIANTE: la canzone sopra a tutto (Intervista)

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RICCARDO COCCIANTE
Il suo tour con la band e l’Orchestra
Otto date a partire da Firenze

Intervista di Luca Trambusti

La carriera di Riccardo Cocciante ha un prima e un dopo, con un doppio binario ed entrambi portano al successo. La prima fase la si identifica nel cantautorato pop di fine anni ’70, con i successi come “Bella senz’anima”, “Margherita”, “Quando finisce un amore”, “Se stiamo insieme”, “Cervo a primavera” e altri. Poi arriva il Cocciante del successo mondiale di “Notre Dame de Paris”, la sua opera popolare in scena da vent’anni, seguita da “Giulietta e Romeo” e (in Francia) da “Il piccolo principe”. Una carriera luminosa e di grande successo.

Da parecchi anni Riccardo Cocciante non era più attivo, a suo nome, sulla scena live e discografica. Ora, a una decina di anni dalla sua ultima esibizione nel nostro paese, torna con un breve tour che parte il 19 luglio da Firenze (ospite di Musart) (Vedi qui notizia). Dopo il capoluogo toscano il cantautore sarà a: Marostica (21 luglio), Bergamo (23 luglio), Pompei (27 luglio), Roma (31 luglio), Diamante (2 agosto), Matera (4 agosto) e Ostuni (6 agosto).

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Abbiamo raggiunto telefonicamente a New York Cocciante per parlare di questo suo ritorno sulle scene con lo spettacolo “Cocciante canta Cocciante” che lo vede sul palco con una rock band (batteria Alfredo Golino, basso Roberto Gallinelli, chitarre Ruggero Brunetti, Elvezio Fortunato, tastiere/programmatore Luciano Zanoni) accompagnato dai 32 elementi dell’Orchestra sinfonica “Saverio Mercadante” diretta dal Maestro Leonardo de Amicis.

Che concerto propone Riccardo Cocciante?
Ci tengo a precisare che suonerò con una band rock e l’Orchestra. È un incrocio che amo molto e che ho già fatto in passato. Il titolo dello show è “Cocciante canta Cocciante”, è come uno specchio dove vedermi cantare le canzoni di 40 anni fa. Le interpreto e rileggo in chiave contemporanea, alla luce della mia maturità, senza imitare il passato. Amo la combinazione orchestra band perché vuol dire suonare veramente, mentre oggi spesso con suoni e cose “artificiali”, i sample e le basi diventa tutto un po’ sintetico.

A me piace l’Uomo sul palcoscenico, con la possibilità degli errori, perché siamo umani e l’errore è una base della comunicazione. Non siamo robot e dobbiamo restare ciò che siamo, con le qualità e le imperfezioni, altrimenti si diventa asettici, non espressivi. Su disco si può cercare la perfezione anche se non la amo. Di solito per la voce registro al massimo tre take perché poi diventa un calcolo, invece l’espressione spontanea emotiva è data dall’emozione e questa la si ha nei primi minuti.

Mancavi dalle scene da un po’ di tempo. Cosa hai fatto in questi anni?
Mi sono occupato di “Notre Dame de Paris” nel mondo. L’opera è in scena in otto versioni, tante quante le traduzioni e io ogni volta lavoro assiduamente sulla formazione del cast. Ogni cantante deve essere portato a cantare nella maniera migliore. Questo lavoro mi ha fatto allontanare da concerti e dischi.

A un certo punto hai abbandonato la canzone per dedicarti ad altro, come Notre Dame De Paris, Giulietta e Romeo o Il Piccolo Principe in Francia. Quanto è lontano quel Cocciante?
Non è per niente lontano. Sono sempre lo stesso, fedele a quello che amo. La canzone è importante e anche NDP è in forma canzone, non è un’opera con le arie, ma ci sono canzoni. La canzone è comunicazione popolare perché è compatta, diretta, non si dilunga in pensieri profondi. Musica e testo sono immediati e semplici, anche non banali.

Come mai hai deciso di ritornare live con dei concerti più raccolti?
Per iniziare con l’intimità che volevo. Preferisco stare vicino al pubblico non con mega concerti dove l’espressività non è la stessa. Volevo tornare in e con questa dimensione, quasi a toccare il pubblico, a sentirlo, a guardarlo negli occhi. È come un attore che dopo tanto cinema sente l’esigenza di tornare al teatro, al rapporto con gli spettatori.

Riccardo Cocciante

Come spieghi che certe tue canzoni sono parte della storia della musica e della cultura italiana?
Ho sempre cercato di scrivere e comporre in modo personale. Il successo per non essere temporaneo non deve seguire la moda, altrimenti in 2, 3 anni scompare e non resta niente. Ho sempre cercato di evitare moda e tendenze del periodo. Ad esempio, quando uscì “Margherita” avevo grandi dubbi perché era il periodo dell’espressione politica, se non ti adeguavi rischiavi. Margherita era all’opposto, per questo ha trovato posto. Così è stato per tutta la mia carriera. “Notre Dame De Paris” lo stesso: nessuno la voleva fare, anche NDP vive di questo spirito di originalità. Io sono fiero di essere me stesso perché, sempre, esprimo il mio mondo e il mio modo.

Qual è il tuo rapporto con l’Italia da cui è nato il tuo successo?
Sono grato all’Italia, come alla Francia, Spagna e Sud America, paesi da cui ho avuto molto. Amo la “mescolanza” io stesso sono italiano, francese e vietnamita. Quando sono arrivato in Italia ho ascoltato molti artisti: Tenco, Paoli, Mina e li ho apprezzati insieme alla musica anglosassone degli anni ’60 e ’70. Il successo di molte canzoni è nato in Italia, poi è arrivato in altri paesi. Penso ad esempio a “Bella senz’anima” che in Spagna è stata un inno di libertà contro i dittatori, diventando un invito a ribellarsi.

Il grande successo di NDP è invece partito dalla Francia. Per me Italia e Francia vanno a braccetto. Sono nato in Vietnam dove la lingua dominante era il francese, che per me è dunque la lingua madre. Sono considerato il più francese degli italiani e il più italiano dei francesi (ride). Non mi sento “univoco”, sin dalle mie radici. Ho vissuto in Vietnam, Italia, Francia, America ed ora sto in Irlanda, salvo poi dover girare il mondo per la musica.

Come si sente Riccardo Cocciante sul palco?
Sono apprensivo quindi prima di salire sul palco vorrei cedere volentieri il mio posto a chiunque si trovi attorno. Andare in scena è entrare in un altro mondo, è andare sulle nuvole, è un passaggio difficile tra realtà e immaginario. L’artista esprime ciò che ha dentro e a volte è duro entrare in questo diverso pianeta mentale e spirituale, così le prime canzoni sono difficili perché il canto non è solo un fatto estetico (che è quello che m’interessa di meno) ma mentale, spirituale e quindi incide sull’esecuzione. Quando poi mi passa il timore, dal palco mi godo il contatto con il pubblico. Ogni volta però devo essere spinto per salire in scena. Ricordo che al Cantagiro negli anni ’70 ogni sera prima di esibirmi chiedevo uno schiaffo per svegliarmi e trovare la forza d’iniziare l’esibizione.


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