I HATE MY VILLAGE: curiosità e voglia di fare cose diverse anche dal palco. (Intervista)

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I HATE MY VILLAGE
Nuovo disco e nuovo tour
Ce ne parla Adriano Viterbini

Intervista di Luca Trambusti

È tutto pronto: gli strumenti accordati, le valige preparate e l’energia a mille. Si parte! C’è un serrato tour da fare per presentare il nuovo Ep dal titolo “Gibbone”. Gli I Hate My Village tornano in scena per sorprendere il pubblico dai palchi.

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Queste le date del tour:

26/08/202 San Mauro Pascoli (Fc), Acieloaperto
27/08/2021 Torino, Todays Festival
28/08/2021 Milano, Circolo Magnolia
29/08/2021 Galzignano Terme (Pd), Anfitetro Del Venda
03/09/2021 Roma, Spring Attitude
04/09/2021 Marina Di Eboli, (Sa) Barezzi Summer
06/09/202 Bologna, Summer Superheroes

Leggi la recensione del concerto del 2019

Adriano Viterbini – chitarra (Bud Spencer Blues Explosion) e Fabio Rondanini – batteria (Afterhours, Calibro 35) con la stretta partecipazione di Marco Fasolo – basso (Jennifer Gentle) e Alberto Ferrari – chitarra (Verdena) hanno appena pubblicato il loro secondo lavoro. Dopo l’omonimo esordio del 2019, arriva ora un Ep che presenta tante interessanti curiosità in fase realizzativa e creativa. Hanno così dato vita a un album per certi versi sperimentale, psichedelico, sicuramente di grande libertà espressiva.

L’anima di questo nuovo spirito che accompagna gli I HATE MY VILLAGE verrà portata anche nel contesto live.

Del nuovo disco e del live, ne abbiamo parlato in una piacevole chiacchierata con Adriano Viterbini (romano, 42 anni), grande chitarrista (tra i migliori in Italia) sia con i Bud Spencer Blues Explosion che con gli IHMV e che troviamo anche in tanti ambiti e progetti differenti.

Partiamo dal disco. La sua genesi è molto particolare. Come nasce “Gibbone”?
È nato prima della pandemia quindi con una serenità diversa a cui ora non siamo più abituati. È stato registrato senza la consapevolezza del fatto che sarebbe uscito, fatto come una demo, Eravamo in studio come spesso succede per stare insieme e divertirsi ed abbiamo registrato su un registratore a cassetta di fine anni 90, un apparecchio con effetti incorporati, niente computer. Era una sorta di esperimento in cui il registratore è stato usato come fosse uno strumento a cui aggiungere o togliere gli effetti. Non conoscevamo la qualità finale delle registrazioni e solo dopo abbiamo potuto valutare se quanto registrato fosse valido a livello audio. Siamo rimasti soddisfatti e così abbiamo deciso di pubblicarlo in questo modo.

I Hate My village
I Hate My Village

Questa modalità di registrare ha influito sulle scelte artistiche?
Molto. Per me e per noi, come band, la parte artistica è legata ad un aspetto fanciullesco del processo creativo. Quando abbiamo a che fare con strumenti con manopole colorate ci divertiamo e allora le cose cambiano e le macchine, in questo caso, ti suggeriscono qualcosa. Non c’è la “punizione” di stare davanti a un computer e possiamo fare cose imprevedibili, che ci divertono. Per alcuni è terapeutico, per me è cercare serenità. Solitamente gli artisti hanno un’idea in testa che poi si concretizza. Noi partiamo con la testa vuota e ci lasciamo guidare dagli strumenti e dagli effetti, tutte cose istantanee, al di fuori della progettualità e prossime alla spontaneità.

Sono dunque un approccio e un risultato sperimentale?
Sì. Ad esempio la tittle track “Gibbone” dura circa 12 minuti perché fatta senza nessun vincolo, a partire da quello radiofonico. È stato un pretesto per provare alcuni strumenti mai usati prima. Nel disco le percussioni non sono acustiche o suonate: Fabio ha sperimentato su “macchinette” con cui ha campionato ed elaborato i suoni.

Come riporterete dal vivo queste scelte artistico/sonore?
Parte dello show sarà realizzato con questi strumenti e con questa “anima”, un’altra con normali strumenti. Non saranno parti separate ma un “mischione” tra le due facce, un flusso continuo.

È un cambio…
È curiosità, voglia di fare qualcosa di diverso rispetto agli standard musicali, creare una relazione differente con il pubblico e togliere un po’ di semplicità in un mondo che semplifica. Offrire una proposta diversa un po’ più profonda, a matrioska. Abbiamo l’idea che si crei curiosità, questo secondo noi è lo scopo della musica, oltretutto in un periodo interessante in cui possiamo sperimentare.

Il pubblico è pronto per questo?
Non lo so. Il pubblico assiste ad un mondo che cambia. Sono cambiate le regole, la fruizione, ci sono nuovi canoni di bellezza. Stiamo tutti, artisti e pubblico, vivendo il presente con curiosità e creando basi diverse. Trovo tutto ciò interessante. Mi piace anche l’idea che si possano rimescolare le carte e scardinare rapporti vampireschi tipici di una certa consuetudine e filiera artistica.

Cosa si aspettano gli I HATE MY VILLAGE da questo tour?
Che sia il miglior concerto in Italia (ride ndi). Mi aspetto di portare la nostra musica su un piano diverso, superiore, di creare condizioni per un’ascolto attivo da parte nostra e del pubblico. Mi aspetto di liberarci da costrizioni, aspettative e paura delle delusioni. Questo è forse l’unico modo per fare qualcosa di notevole.

Siete una band live o da studio?
Siamo entrambe le cose nel modo più scoordinato che puoi percepire. Sul palco siamo a casa, ma anche a casa non accettiamo di fermarci, di vederci come siamo e quindi si cerca di studiare, ascoltare, creare nuove strade e nuovi sentieri, anche solo per noi stessi. Se poi qualcuno ci dice che li abbiamo portati altrove con la musica, noi siamo molto soddisfatti. Lo confesso, mi piace essere un riferimento per i ragazzini, è successo anche a me.

I Hate My Village
I Hate My Village

Quando un concerto è riuscito?
Quando suoni a occhi chiusi con la sensazione che sia la cosa migliore. Lo percepisci nettamente per l’energia e l’eccitazione, ma richiede anche grande concentrazione. Tutto è fatto per dare il massimo in quell’ora. Insieme alla concentrazione, c’è perdita, smarrimento con la volontà lucida di ottenere e disegnare la nostra visione. È un continuo contrasto e disequilibrio e alla fine ti accorgi che è andata bene quando l’hai vissuta come un grande respiro.

Ciò richiede un notevole sforzo emotivo!
Sì, però alla fine dello show si è emotivamente appagati. Io vivo la tensione del concerto prima che inizi, poi sono quasi sempre soddisfatto. Ma in fondo una band è come un formicaio: tante formiche che compongono un unico elemento e lavorano insieme.

Lo stare seduti aiuterà la fruizione di questo concerto?
Non te lo so dire. Ho assistito a tanti concerti da seduto anche prima e me li sono goduti.

Com’è stato costruito il tour?
Ci sono tante date attaccate, per me è come una grande vacanza, il modo migliore per viversi la musica. Non credo soffriremo troppo: è tanta la voglia di suonare.

Puoi fare un bilancio della tua attività?
Una grande figata. Ho sempre fatto per fortuna ciò che volevo con la musica, che mi ha dato la libertà che ho cercato. Prima ero musicista per altri, poi per me stesso. Ora faccio i miei progetti e se mi piacciono anche quelli altrui. Lavoro, mi diverto, imparo e sperimento. È un momento strabello della mia vita, mi sento realizzato e a 42 anni me la vivo come se ne avessi 23/24. Andando avanti con la tecnologia le cose cambiano e si creano nuove opportunità ed energia. Certo non tutta la musica di questo periodo mi piace, ma così posso cercare alternative e mi stimola a creare ciò che non ho mai ascoltato, cose che non passano in radio.


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