GRETA VAN FLEET: un tuffo nel passato con grande possibilità di crescita. Recensione
GRETA VAN FLEET recensione Milano
24 novembre 2019
Alcatraz
Milano
Voto 7,0
Testo e foto di Giorgio Zito
Alla fine sono arrivati, i tanto attesi Greta Van Fleet , la band che ha ridato vita al rock degli anni ’70. Un concerto tutto esaurito già dal febbraio scorso, quando il quartetto americano fu costretto ad annullare la data milanese, aumentando ancora di più l’attesa e le aspettative.
In apertura Yola
Ad aprire il concerto c’è una bellissimo regalo, la splendida Yola , che ha sorpreso molti, essendo dalle nostre parti quasi sconosciuta. Dotata di una voce eccellente e di una grande carica di energia e simpatia, ha contagiato in breve tempo gran parte del pubblico. Vale la pena spendere due parole per questa ragazza (Yolanda Quartey all’anagrafe, 36 anni e una vita da homeless fortunatamente ormai alle spalle), che in 40 minuti ha conquistato il pubblico dando prova di poter legittimamente pretendere al trono, che qualcuno le ha già riconosciuto, di Queen of country soul.
Apre con la bellissima soul ballad “Faraway Look,” e dopo due minuti ha già in mano il pubblico, che seguirà il suo set con applausi a scena aperta nei vocalizzi più potenti. Un paio di singoli azzeccati, un disco d’esordio notevole e quattro candidature ai Grammy Awards ne fanno una voce promettente da seguire con attenzione. Yola possiede capacità vocali e interpretative che nei brani più tirati paiono davvero avvicinarla alle grandi interpreti della storia del soul, una su tutte quella Aretha Franklin che omaggia in chiusura con una potente cover del classico Spanish Harlem.
GRETA VAN FLEET recensione Milano
Il tempo del cambio palco ed arriva il quartetto americano, e ci si immerge da subito nel suono del rock anni 70. L’impatto è notevole: la chitarra di Jacob Kiszka lancia riff scatenati e si invola in assoli infuocati. La batteria di Daniel Wagner è potente e precisa, il basso di Samuel Kiszka tiene il ritmo con altrettanta precisione, alternandosi spesso a tastiera e organo. Infine la voce di Joshua Kiszka vola altissima su vette che, volenti o nolenti, ricordano quelle di Robert Plant. Senza però mai arrivarci pienamente, anzi, a tratti pare quasi non farcela.
Ma i quattro ragazzi non sembrano preoccuparsi troppo di assomigliare o meno a grandi del passato: si divertono, e si vede. E con loro si diverte un pubblico davvero intergenerazionale: giovanissimi appassionati di classic rock, adulti, e anche qualcuno che i 70 li ha vissuti in prima persona.
Senza tregua
Il concerto non lascia un minuto di tregua, e i Greta Van Fleet sono una macchina da rock ormai ben rodata: 10 canzoni in sequenza e due bis, con tutti i singoli già entrati tra i classici del rock prelevati dai due E.P. e dal disco d’esordio. Da “Highway Tune” con cui aprono il concerto a “Safari Song” con cui lo chiudono.
I quattro ragazzi sono tecnicamente perfetti nel riproporre un suono che ha fatto grande il rock degli anni ‘70, con un concerto in cui non manca neanche il lungo assolo di batteria in chiusura di serata. Però, per fortuna o purtroppo, siano nel 2020, e la loro musica, per quanto di altissima qualità, rischia di risultare alla fine una proposta che guarda troppo al passato, in maniera quasi maniacale (nei suoni, nella costruzione dei brani, nel cantato, nei vestiti), poco al presente, e per niente al futuro, rischiando di condannare i Greta Van Fleet all’essere una band arrivata fuori tempo.
Alla ricerca di una strada originale
Hanno dalla loro però un vantaggio non da poco, l’età. Sono giovanissimi, bravi e talentuosi: se sapranno trovare una strada un po’ più originale, riusciranno senza dubbio a spiccare il volo.
Scaletta
Highway Tune
Edge of Darkness
Black Smoke Rising
The Music Is You (John Denver cover)
You’re the One
Age of Man
Black Flag Exposition
Watching Over
The Cold Wind
When the Curtain Falls
Bis:
Flower Power
Safari Song