BOB DYLAN: la grande storia si ascolta senza telefonino (Recensione e scaletta)

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BOB DYLAN
ROUGH AND ROWDY WAYS WORLD WIDE TOUR
3 luglio 2023
Teatro Arcimboldi
Milano

Recensione di Giorgio Zito
Voto 9,0

Si può andare a sentire un concerto di un cantante che hai già visto più di venti volte? E si può andare anche se costa il biglietto costa 150 euro? Ma soprattutto, si può andare a vedere un concerto dovendo lasciare il nostro amato telefonino chiuso sigillato in un a busta, senza poter fare foto, inviarle agli amici, pubblicarle sui social, o consultare ogni cinque minuti se abbiamo ricevuto messaggi? Si, ed è stato bellissimo. Sembra che abbia fatto discutere di più il “sequestro” del telefonino che l’evidente aumento dei prezzi dei biglietti. Poi però alle 21 in punto le luci si affievoliscono, entra la band, e arriva sul palco quella figura segnata dagli anni, con una voce che non nasconde il passare del tempo, e ci si rende conto ancora una volta di essere al cospetto della storia del rock.

Perché nessuno come Bob Dylan ha saputo raccontare il nostro mondo con la musica popolare partendo dal folk, passando dal blues al rock, dal country al gospel e ritornando al folk, facendo nel mentre anche un paio di rivoluzioni nella musica e nel costume del novecento. Sempre anticipando i tempi, sempre scartando di lato dalla strada segnata senza mai cadere, sempre in un luogo diverso da quello in cui ti aspetteresti di trovarlo.

Poi c’è la musica, ci sono le canzoni, e tutti i dubbi delle premesse spariscono già dalle prime note. Bob Dylan, seduto semi nascosto dietro al pianoforte, con il palco in penombra e luci tenui accese in platea, sceglie di aprire con due brani del passato: “Watching the River Flow” e “Most Likely You Got Tour Way and (I’ll Go Mine)”, brano in cui sfodera una gran voce che lascia davvero stupiti. Sul finale si alza in piedi, e in piedi, dietro al piano, proseguirà per quasi tutta la serata, sedendosi solo ogni tanto per dei brevi assoli.

Il concerto è dedicato in larga parte al suo ultimo disco di inediti, il bellissimo Rough and Rowdy Ways (all’appello manca solo il capolavoro “Murder Most Foul”); sfilano così una splendida versione di “I Contain Multitudes” cantata benissimo, il blues elettrico di “False Prophet” con le due chitarre elettriche che lavorano in coppia in maniera notevole, e il blues lento “Black Rider”. In “My Own Version of You” sfodera ancora una grande interpretazione, e “Crossing The Rubicon” è uno dei momenti più intensi, in cui Bob Dylan and band sfiorano la perfezione. Di tutti i brani nuovi, forse solo la lenta “Key West (Philosopher Pirate)” convince di meno, anche se sul finale riceve grandi applausi.

In mezzo a questi brani nuovi fanno capolino alcune canzoni del passato, scelte in maniera oculata non proprio tra quelle più famose, ma probabilmente sono quelle che si adattano meglio al mood del Dylan del 2023. “When I Paint My Masterpiece” è il primo colpo al cuore di ogni dylaniano: intro stravolta con solo voce e piano, prima di trasformarsi in un country swing con tanto di violino e un accenno di hand clapping del pubblico, mentre “I’ll Be Your Baby Tonight” è un blues lento che si trasforma in un rock elettrico. Questi sono i toni prevalenti di una serata che tocca l’apice con il blues elettrico di “Gotta Serve Somebody”, altra splendida interpretazione di Dylan, e altra grande prova di una band davvero formidabile. Il finale di “I Made Up My Mind to Give Myself to You” serve a Dylan per presentare la band con le poche parole spese durante la serata, per quello che sarebbe forse la fine del concerto prima dei bis.

Qui però non ci sono finti bis a chiamata, e la musica continua senza interruzioni con due omaggi a due dei suoi maestri, con le cover di “Not Fade Away” (di Buddy Holly) e di Bad Actor (di Merle Haggard), mai eseguita in concerto da Dylan fino a ieri sera. Un vero e proprio regalo per il pubblico milanese. In finale si torna ancora al nuovo disco con “Mother of Muses” e “Goodbye Jimmy Reed”, prima di chiudere con un altro capolavoro del passato, “Every Grain of Sand”, in una versione superba, sul cui finale si esibisce anche all’armonica. Finita l’esecuzione, lascia la postazione dietro al piano tra le ovazioni, guarda il pubblico per qualche secondo, si gira e se ne va.

Ci si potrebbe chiedere cosa spinga ancora un uomo della sua età, che dall’arte ha avuto tutto (Premio Nobel compreso), a girare ancora per il mondo. Non lo sappiamo, e forse non lo sa neanche lui; in ogni caso sarebbe inutile chiederglielo, non risponderebbe. Quello che sappiamo è che finché lui sarà sul quel palco, ci sarà un pubblico pronto ad ascoltarlo. Anche senza telefonino.

Scaletta

Watching the River Flow
Most Likely You Got Tour Way and I’ll Go Mine
I Contain Multitudes
False Prophet
When I Paint My Masterpiece
Black Rider
My Own Version of You
I’ll Be Your Baby Tonight
Crossing The Rubicon
To Be Alone with You
Key West
Gotta Serve Somebody
I Made Up My Mind to Give Myself to You
Not Fade Away
Bad Actor
Mother of Muses
Goodbye Jimmy Reed
Every Grain of Sand

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