DARGEN D’AMICO: rap da camera e non da cameretta. Recensione Concerto

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DARGEN D’AMICO
Variazioni Primavera Tour
20 Aprile 2017
Santeria Social Club
Milano

Voto: 9
di Luca Trambusti

Dargen D’Amico no solo rap

La direzione della serata (un affollato sold out) la indica l’introduzione del concerto: un’overture di solo piano di chiara estrazione classica eseguita da Isabella Turso (https://isabellaturso.com/bio/). Così i pochi, pochissimi (forse nessuno) che si aspettavano un concerto rap sono rimasti spiazzati. Ancor più evidente è la lontananza quando la formazione si palesa completamente: oltre al pianoforte la scena è occupata da una violoncellista, un violinista ed un polistrumentista che aggeggia con strumenti elettronici per le basi ed usa chitarre, buzouki ed una melodica. Ancora a dare la mazzata finale alle velleità classicamente rap del concerto ci pensa il protagonista che sale sul palco (tutto di nero vestito e con gli immancabili occhiali da sole ben calcati) e “rappa” a cappella, senza basi senza musica ma usando solo le parole che diventano un monologo teatrale con un suo ritmo.

Spiazza e sperimenta

Insomma Dargen D’Amico spiazza, confonde e dimostra tante cose portando in scena lo stile e l’idea che sta alla base di “Variazioni”, il suo ottavo disco dove appunto il rap copula e figlia con la musica classica.

Che D’Amico sia uno sperimentatore ed un rapper che spacca i confini lo si sapeva, ma quanto sta presentando in questo tour è la dimostrazione di come sappia magistralmente maneggiare una musica con parecchi limiti, steccati e fossati. Se il dibattito/sfida è tra rap Vs pop qui si sposta in rap vs musica da camera. Ma non si limita a questo: ci sono elementi teatrali, appunti jazz ed un matrimonio con la canzone d’autore. Tutto si perde, il rap si confonde e si annulla nella forma canzone destrutturando però le basi concettuali di entrambi gli stili.

Lontana l’iconografia rap

“Variazioni Primavera Tour” tiene lontani i cappellini al contrario, i pantaloni larghi, gli ipertautaggi su ogni piccolo lembo di pelle come ostentazione di una presunta “differenza” ed allontana (anche tra il pubblico) tutta l’iconografia più becera del rap. Questo spettacolo, del rap, ne esalta l’essenza e l’anima, restituisce un senso a tutto quel parlare ed a tutte quelle parole (anche con concetti non sempre condivisibili – ma è anche una questione generazionale).

La messa in scena sul palco è affascinante, Dargen si cimenta in un rap (chiamiamolo così per sintesi e convenzione) molto “interiore”, riflessivo, intimo, lasciando solo a tratti affiorare il lato del divertimento, quello delle basi e/o dell’ironia (nell’immancabile “Bocciofili” sul palco con lui Mistico). Canzoni, liriche, rap che ben si adattano alla forma sonora scelta. Spesso la musica lascia spazio al recitativo facendo diventare moderne poesie le interpretazioni ma sopratutto contribuendo ad elevare il livello emotivo dello performance.

Empatia con il pubblico

Non manca l’intrattenimento e sopratutto l’empatia con il pubblico che mette in mostra (a volte forse un po’ banalmente) quale sia la capacità di calcare il palco da parte dell’artista milanese che arriva a chiamare al suo fianco uno spettatore assegnandogli il ruolo di “Gobbo Umano”. E’ stato lui a salvare Dargen quando questo si era dimenticato il testo di un brano (a cappella) ed il fan che quel testo lo conosceva a menadito gli ha dato una mano nei momenti di amnesia.

Il pianoforte ed il flusso delle parole

La struttura musicale con gli interventi di pianoforte permettono il fluire delle parole (con cui D’Amico gioca molto anche nei siparietti parlati tra un brano e l’altro), permettono soprattutto la comprensione del testo che non viene annegato in un mare di suoni elettronici, di ritmi sintetici. Non è (solo) un fiume di parole, qui si va all’essenza della canzone, si spinge verso l’alto il suo significato lirico e le parole, che hanno un peso, servono per raccontare storie, malesseri, dubbi, paure ed incubi che sono di una generazione. Al tempo stesso la musica non è un “di cui” dello spettacolo è la cornice che esalta il quadro, la luce che illumina la pagina. Il connubio parole e musica è essenza; le note ed i suoni scelti sostengono e puntualizzano le parole.

Dunque un molteplice bravo a D’Amico perché ha rotto barriere e confini del Rap portandolo in una nuova direzione e lo ha fatto con molta coerenza, coscienza, intelligenza ed anche abilità. Bravo per la sua scrittura, bravo per come mette in scena lo spettacolo che diventa informale ma intimo, intenso ma mai supponente o noioso. Un piccolo appunto solo all’impianto luci ed a qualche imperfezione del protagonista.

Complimenti.


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