KENNY WAYNE SHEPHERD: La testa, il cuore, le dita ed una chitarra Recensione Concerto Milano
KENNY WAYNE SHEPHERD
23 Luglio 2017
Carroponte
Milano
Voto: 8,5
Di Trambusti Luca
Scarso il pubblico. Peccato!
Kenny Wayne Shepherd ha iniziato la sua attività discografica molto giovane. Nel 1995 pubblica Ledbetter Heights che, nonostante la giovane età del musicista, si rivela subito un grande successo di critico e di pubblico. Da allora il texano (che nel frattempo si è fatto adulto) ha sempre diviso la sua attività tra dischi e palchi firmando anche alcune prestigiose collaborazioni (Stephen Stills, Barry Goldberg, Ringo Starr, Joe Walsh, Warren Haynes) e raccogliendo 5 nomination al Grammy, due ai Blues Music Awards e due all’Orville H. Gibson. Negli anni Kenny Wayne Shepherd ha venduto milioni di copie dei suoi album in tutto il mondo. Nonostante tutto questo resta (almeno in Italia) un nome per pochi cultori ed amanti del blues. Lo dimostra anche la non certo grande affluenza al suo concerto a Milano (sigh!!), scarse presenze ancoro più in considerazione del fatto che non è un musicista che passa spessissimo in Italia. Spiace per chi non c’era perché Kenny Wayne Shepherd ha suonato un concerto di grandissimo livello.
Le grandi doti tecniche
La sostanza delle quasi due ore di spettacolo ha dimostrato (se ce ne fosse stato bisogno) le grandi doti tecniche del biondo bluesman. Gli assoli si susseguono ed ogni volta strappano gli applausi del pubblico che dimostra evidentemente di gradire. La sei corde spesso ruggisce, altre volte si fa più morbida e meno aggressiva ma sempre le dita di Shephard volano sul manico e le corde. Sono impressionati la precisione (in relazione anche alla velocità) e la qualità del tocco oltre che il suono che esce dagli amplificatori.
La strada artistica che il chitarrista percorre è quella del classico Rock Blues (più rock che blues) che diviene una sorta di Hard Blues e suona forte ed appassionante. Uno stile che in tanti hanno percorso ed in tanti nel genere hanno mostrato grandi abilità tecniche. Spesso però capita di avere una evidente qualità tecnica talvolta non abbinata ad un elevato feeling. Kenny riesce a coniugare ed unire entrambi gli aspetti; anche se siamo in presenza di un mostro di tecnica i suoi assoli, le sue lunghe cavalcate chitarristiche non sono mai una mera dimostrazione di potenza, bravura e di stile che lasciano freddo l’ascoltatore. La musica resta la protagonista, il calore e l’anima del blues sono ben presenti e si sposano con le qualità strumentali del chitarrista, dosate anche con gli altri strumenti. Gli assoli sono coinvolgenti perché “mossi”, mai uguali a se stessi dall’inizio alla fine.

La chitarra è la protagonista
Il protagonista della scena è lui o meglio lui e la sua chitarra. Wayne infatti sa suonare la chitarra ma sa anche come presentarsi al pubblico e sa quale è il suo ruolo e posto sul palco. Sceglie mosse e atteggiamenti con cui ben si concede al pubblico. Da protagonista suona sempre fronte palco, ritirandosi più indietro durante gli altrui assoli e nei momenti opportuni si muove con grande abilità. Come quando rileggendo Hendrix suona con la chitarra dietro al testa oppure nei momenti più robusti infila la chitarra tra le gambe come una consumata rock star.
Certo a volte tutto è un po’ scontato, nessuna sorpresa, nel senso che già si sa cosa aspettarsi da ogni brano; se le differenze non sono strutturali e stilistiche lo sono per l’approccio. A volte l’assolo è potente, a volte la musica è più corale, a volte si aprono le tastiere, a volte l’anima blues ritmica prende il sopravvento a differenza di quella più emotiva. Certo è che un altro elemento portante del concerto è l’improvvisazione. A volte la musica si trasforma in una sorta di infinita jam musicale, brani senza fine che potrebbero terminare dopo una settimana tra ripetizioni e pirotecnici assoli. Ed anche in questo si misura la capacità della band di seguire il leader.
Sul palco con Shephard (che alterna diverse chitarre) ci sono un cantante (a volte anche chitarrista) con una voce potente ma morbida. Le tastiere hanno un ruolo primario e non solo di colore o riempitivo. La base ritmica invece è martellante. Il batterista è una macchina, un metronomo per precisione, pulito ed essenziale, non esagera certo in fantasia e potenza. Il suo è un lavoro di precisione micrometrica, su cui si può distendere il “socio ritmico” basso che invece riempie molto l’economia sonora della band. Sono bassi profondi e significativi quanto “fluidi”.
Un tributo ai grandi del blues
Infine un appunto sulla scaletta. Ovviamente il repertorio presentato è quello della sua produzione discografica, spaziando dall’ultimo disco sino a quello del suo esordio del 1995. Ma il texano non dimentica nemmeno i grandi del blues e gli altrettanto grandi colleghi chitarristi. Ecco così un brano di Elmore James ed uno di BB King. Il tributo invece che chiude il concerto è quello per Jimi Hendrix di cui ripropone Voodoo Child. Una versione lunghissima in cui Wayne “replica” il mancino suonando con la chitarra dietro la testa (ma non con i denti).
Alla fine le due ore del concerto sono volate e si va a casa con la certezza di avere soddisfatto la propria voglia di blues; come al solito però pronti per ricominciare alla prossima diversa occasione.