FRANCESCO RENGA: la sua prima volta in un palasport. Recensione concerto

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FRANCESCO RENGA
15 Ottobre 2016
“Scriverò il tuo nome – Live Nei Palasport”
Mediolanum Forum – Milano

Voto: 6
di Luca Trambusti

Solo cinque date accompagnano Francesco Renga alla sua prima prova nei palasport. L’inizio è affidato all’impegnativo appuntamento con il Forum di Milano che il musicista bresciano porta a casa con un buon botteghino: un sold out da 9923 paganti come dichiarato (documenti alla mano) dal promoter della data (va considerato che sul parterre erano sistemate le sedie e quindi la capienza del Forum era ridotta) .

Dunque era un concerto molto atteso, vedere Renga alla prova del grande pubblico generava molta curiosità ed aspettativa. La risposta di Renga ha lasciato molte perplessità.

Il ruolo di sex symbol del 48enne cantante si è svelato subito ad inizio del concerto: la sua entrata sul palco ha portato ad un repentino innalzamento del livello ormonale del pubblico femminile che lo ha accolto con un vero grido.

A parte un’introduzione strumentale con molta elettronica (ed immagini proiettate sullo schermo alla spalle della band) il concerto si apre con “Scriverò il Tuo Nome” l’ultimo dei successi di Renga. All’inizio dello spettacolo dal palco arrivano parecchi spunti positivi. Innanzitutto il suono potente ed energico della band (anche se la qualità sonora in un primo momento non era delle migliori) e la forza dell’ineccepibile e sorprendente aspetto visuale fatto di ottime luci e buone combinazioni visuali che mischiano immagini “di scena” (ovviamente le più di Renga) con altre immagini. Un grande sforzo tecnologico, quasi un’esibizione muscolare, un tentativo di riempire la scena nella sua prima esperienza in grandi spazi.

La prima parte del concerto procede in questo modo, robusto e potente su cui si dispiegano le melodie vocali di Renga. Dello spettacolo e delle canzoni si può dire di tutto ma su una cosa non si può discutere: la forza e la bellezza della voce di Renga che, pur stilisticamente cambiata negli anni, resta il suo punto di forza ed una tra le migliori del panorama nazionale.

La prima svolta si ha con la decima traccia in scaletta. La potenza sonora lascia spazio ad atmosfere più intime, delicate, un momento di pop melodico a differenza del precedente pop rock.

L’intera scaletta del concerto è incentrata sulle canzoni d’amore, sentimento che è il comun denominatore di tutto lo spettacolo, amore, nelle sue diverse declinazioni, di cui Renga tratta anche nei numerosi interventi parlati (citando pure lo scrittore Carver che definisce uno dei suoi preferiti). Alla fine questa “unicità tematica” risulta un po’ monocorde e passo dopo passo scontata.

Il concerto verso metà (al 14esimo brano) cambia completamente d’atmosfera. La musica si fa completamente acustica – voce, chitarra e piano – trasferendosi su un secondo piccolo palco nella zona del mixer considerato una sorta di sala prove per dare spazio alle canzoni in forma nuda e cruda, come nel momento creativo. Lo svolgimento su due palchi pare sia una nuova frontiera del live. Lo abbiamo visto fare a Mengoni (atterrando sul secondo palco “volando” sopra il pubblico), a Antonacci (che inizia il suo concerto alle spalle del parterre entrando da dietro il pubblico). La formula scelta da Renga è la più pericolosa ma anche la più eccitante. Francesco infatti scende dal palco principale e fende il pubblico della platea che si alza dalla sedie e lo assale. Un vero bagno di folla nonché un grande attestato di fiducia nei confronti dei fan.

 Nella parte acustica Renga piazza, tra i nove brani “intimi”, anche una vera chicca: una rilettura acustica di “Senza Vento”, uno dei “cavalli di battaglia” dei Timoria (1993) unendo così il suo (ormai lontano) passato con il suo (radioso artisticamente parlando) presente.

Finito il set acustico si torna (riattraversando la folla) sul palco per una versione di “Angelo” in cui il pubblico seduto nel parterre agita i palloncini bianchi a forma di cuore di cui erano stati precedentemente forniti……….

Un’inutile ed un po’ infantile trovata coreografica che stride con il resto della scena vista sino a quel momento.

La parte conclusiva dello spettacolo procede un po’ stancamente, con le canzoni sovrapponibili tra loro fino a far affiorare un po’ di noia. A quel punto l’impatto scenografico e sonoro ha finito la sua spinta propulsiva e non emergono le “canzoni”.

Si arriva alla fine con il pubblico in piedi sotto il palco a seguire il ritmo ed a sostenere (inevitabilmente) l’artista.

Dunque si poteva fare di meglio per parecchie imprecisioni da inesperienza: una minor esibizione muscolare dello show, una diversa scaletta, sopratutto non così monotematica, una riduzione dei tempi avrebbero sicuramente giovato allo spettacolo.

Inizialmente molto bella la parte visuale e sicuramente ineccepibile quella vocale (anche se spesso “doppiata” da parti registrate). Un plauso va anche alla band (Fulvio Arnoldi – chitarra acustica e tastiere, Vincenzo Messina – tastiere, Stefano Brandoni e Heggy Vezzano – chitarre elettriche, Phil Mer – batteria e Gabriele Cannarozzo – basso).

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