ROBERT PLANT: tra Africa, folk e Led Zeppelin Recensione

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ROBERT PLANT live a Milano
20 Luglio 2016
Summer Arena
Assago (Milano)

Voto: 7,5
di Luca Trambusti

Dimenticate i Led Zeppelin, dimenticate gli acuti e le impennate vocali e con questo spirito dovete approcciarvi al concerto di Robert Plant in compagnia dei Sensational Space Shifters , la sua band. Una delle voci simbolo del rock anni ’70, una delle figure di riferimento del periodo (per tecnica, stile ed anche eccessi) ha avuto una carriera ed una evoluzione artistica che hanno disegnato un percorso di crescita e di adattamento a tempi e necessità vocali. Ed il concerto in questione riassume quel percorso, fermandosi alla tappa odierna, contemporanea.

Robert Plant mette da parte gli “eccessi” dei Led Led Zeppelin e si approccia a quella musica ed al suo cammino stilistico con una musica diversa, più riflessiva, meno aggressiva, più folk che blues ma sopratutto che guarda all’Africa con cui Plant ha da tempo un rapporto molto stretto ed intenso. Già la presenza sul palco dell’africano Juldeh Camara impegnato agli strumenti tipici della sua terra ci indica questa direzione .

Dunque lontani i Led Zeppelin non c’è (giustamente) più quell’impatto sonoro che fa parte del passato, sostituito da raffinati arrangiamenti, che vivono di suggestioni ed approcci diversi. Di fatto Plant si presenta con un concerto i cui elementi principali sono il suono acustico (fondamentale in tal senso il chitarrista “santone” Liam “Skin” Tyson), la ritmica (molto appoggiata sull’Africa), l’eleganza ed a tratti una grande sensualità che avvolge il pubblico. Una complessa compattezza sonora che non lascia spazio a momenti di minor tensione emotiva o a cali di qualità artistica.

In tutto questo però Plant non si dimentica di ciò che è stato ed in quest’ottica, in questa chiave di lettura, ripropone i Led Zeppelin dandogli una veste sonora diversa, attuale e contemporanea. I classici della band vengono arrangiatati per l’occasione magari anche stravolgendoli, rendendoli irriconoscibili rallentandoli o arrivando ad inserire con grande equilibrio tracce di Africa all’interno di “Whole Lotta Love” (e di altri brani degli Zep). Il riccioluto cantante ha saputo andare oltre, superare il suo passato, calarsi nel presente e da anni capire che quella è stata una fantastica stagione sulla quale ha costruito un futuro ricco di sperimentazioni, di nuove sonorità e spunti interessanti. La forza e la possibilità di fare questo gli è arrivata anche al suo nome, al suo vissuto ed a tutta la credibilità che ha saputo crearsi nel tempo.

E’ un Plant diverso quello degli anni 2000, più riflessivo, meno irruento, che cerca suoni e modalità diverse ed anche personali. E’ il Plant frutto di un preciso lavoro artistico e concettuale.

In sostanza quindi è un concerto interessante, un elaborato di qualità su cui però gravano due ombre. Se sono cambiato gli arrangiamenti parimenti è cambiata anche la voce. Non più potente, graffiante ma ora più pacata, quasi in sofferenza. Anche qui (ed in questo frangente è un fatto negativo) manca quella zampata che ha sempre caratterizzato il cantante inglese. L’acuto è messo da parte e tutto diventa più “ordinario” (si fa per dire). Manca quel guizzo, quel qualcosa in più che lo ha reso unico nella storia. Ma gli anni passano (ed anche per Mr Plant il 20 agosto sono 68) e sebbene i riccioli, anche se non più d’oro ma bianchi, siano al loro posto qualcosa pure lui deve pagare all’anagrafe.

L’altro fatto è la durata del concerto: poco più di un’ora e mezzo e la pratica “concerto a Milano” è liquidata. Alle note di “Whole Lotta Love” seguono due bis che paiono di routine e tutto si conclude poco dopo le 22,30. Peccato perché di fame di quella musica ce n’era ancora ed in realtà nemmeno il repertorio mancava.

ROBERT PLANT live a Milano


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